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Hai sbattuto la faccia contro un furgone”. È la risposta...

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28/06/2021
•    Distanza 98.71 km
•    Tempo 4:22:28
•    Dislivello 1052 m
•    Costanza, l’ultimo giro


“Odio le Panda”

Vorrei poter iniziare
questo diario di viaggio dalla sua fine ma non è ancora possibile, questo lunghissimo viaggio purtroppo, non è ancora terminato. Quindi comincerò a raccontare partendo dal punto dove si interrompe il viaggio in bicicletta e inizia quello che ancora sto percorrendo, il lungo viaggio della guarigione.

Era destino
che la mia corsa alla caccia di panchine terminasse qui, a Costigliole d’Asti in viale Corrado Bianco, una serie di eventi hanno fatto si che mi trovassi esattamente nel punto stabilito dalla sorte. Dopo la grande panchina di San Martino Alfieri ed il transito per Motta, risalgo verso Santa Margherita e sosto in cima alla salita, mangio la mezza banana che mi è rimasta dei pochi viveri che mi sono portato appresso. Un solo minuto che avrebbe potuto cambiare l’epilogo del mio giro.

Riparto in discesa,
ho impostato il Garmin per raggiungere Nizza Monferrato e seguo le indicazioni a volte un po’ strambe di questo strumento che in alcuni casi, odio profondamente. Discendo verso il paese dalla SP41, ma Germin richiede la svolta in via Verais, non ho voglia di litigare con messaggi di fuori pista ed eseguo.

Ecco un altro fattore che mi porterà all’appuntamento col destino.

Proseguo in via Loreto,
sapendo di allungare la strada e poco più avanti ecco che ritorno sulla SP41 e alla rotatoria svolto a sinistra in Viale Corrado Bianco. Percorsi pochi metri, succede qualcosa che non so spiegare, mi ritrovo improvvisamente alla grande panchina gialla di san Martino, un attimo dopo sono catapultato nel traffico di Asti e ancora in un attimo ecco che mi ritrovo seduto sulla grande panchina di Olivola.

Non so per quale motivo io stia ripercorrendo a ritroso la corsa che ho appena fatto.
 
Quel paesaggio l’ho già visto, questa fotografia l’ho già fatta, non comprendo. Continuo a pedalare ma qualcosa non quadra, forse è solo immaginazione, per una ragione a me sconosciuta, vivo in un presente che invece fa parte del mio recente passato.

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Poi, apro gli occhi,
vicino a me due operatori sanitari, sono sdraiato all’interno di un’ambulanza.

“Cosa è successo?” Chiedo.
“Hai sbattuto la faccia contro un furgone”. È la risposta
“Ma come è possibile, io non ricordo niente” dico.
“E’ normale non ricordare nulla dopo un trauma del genere” mi rispondono.
In lontananza, il rombo potente di un motore, con la poca visuale che ho riesco ad intravvedere la sagoma dell’Elisoccorso.
“Ma è l’elicottero del 118 quello la fuori?” Chiedo
Si, le tue condizioni non permettono un trasporto lungo in ambulanza e abbiamo chiesto l’intervento dell’Elisoccorso” Rispondono.
Mi spostano, non so dire se con la barella a mano o con l’ambulanza. Sono intontito. Ora sono a bordo dell’elisoccorso.
“Mi portate al pronto soccorso di Alessandria?” Chiedo
La risposta è si. Ho un momento di lucidità e chiedo ancora:
“Per favore, avvisate mia moglie. Lavora in un ufficio del Pronto Soccorso.”
“Chi è?”
“Ornella,  ha accesso ai dati di ricovero, se vede il mio nome in arrivo potrebbe pensare al peggio”.
“Si Ornella, la conosciamo. Tranquillo ci pensiamo noi.”

Si parte, non mi godo il viaggio,
i farmaci entrano in azione e mi assopisco, non ho memoria nemmeno dell’atterraggio e del viaggio in ambulanza verso il Pronto Soccorso.
Non ricordo nulla nemmeno del Triage.
Un urto della barella contro lo stipite di una porta mi porta alla realtà, ho dolori fortissimi ad entrambe le braccia, da questo momento, anche le giunzioni del pavimento, diventano insopportabili quando le ruote della barella le colpiscono.
Il primo ricordo certo è in Shock Room, all’interno del DEA (Dipartimento Emergenza e Accettazione), il viso di mia moglie che mi dice che va tutto bene.
Una voce mi esorta a muovere le braccia. Non ci riesco, se ci provo sento un dolore fortissimo.

Qualcuno sussurra “Ha le braccia rotte”.

Ed aggiunge “Prova a muovere le gambe”
Le gambe le muovo, riesco anche a tenere i piedi a martello e supero i test di forza, ma le braccia, no, non possono toccarmele senza provocare un forte dolore e per quanto io mi sforzi, non riesco a muoverle. Sono rassegnato, se sono rotte pazienza, le ingesseranno.
Sono steso su una barella spinale, un collare rigido mi impedisce ogni movimento della testa, qualcosa di terribile mi è successo ma non ricordo come.

Una forbice sta tagliando il mio completo da corsa.

Sono tranquillo,
rassegnato, mi dispiace un po’ per il completo dell’Amag ma so che toglierlo intero oltre al dolore che potrei sentire potrebbe aggravare il mio stato.
Sono tranquillo, rassegnato, probabilmente mi hanno già infilato in corpo una dose tale di morfina e chissà cos’altro che non mi frega più nulla di niente, sono calmo, ho le braccia rotte ma se non mi muovo non sento dolore.

Il completo dell’Amag è stato rimosso,
sono completante nudo non sento freddo, sono rassegnato al mio destino ma calmo. Però quando l’operatrice sanitaria tenta di tagliarmi la fascia del cardio, trovo la forza di oppormi e dare istruzioni su come rimuoverla senza distruggerla. So che non potrò usarla per parecchio tempo ma farla tagliare rendendola inutilizzabile, mi disturba.
Mi portano in radiologia, Tomografia Assiale Computerizzata, Risonanza Magnetica e lastre varie, sono solo un vago ricordo.

Mi appisolo o perdo i sensi, non so.

Quando riapro gli occhi
ecco il viso amico di un medico che cuce le innumerevoli ferite provocate dalla rottura degli occhiali da lettura che perto sempre al collo. 21 punti in diverse parti del viso, la ferita più grande è una lacerazione sulla mascella sinistra.

Il dottore mi informa sui danni riportati:
 Innanzitutto, le braccia sono integre e a parte i tagli sul viso, ho una serie di microfratture alla mascella, mandibola e allo zigomo sinistri, frattura del naso, enfisema causato dall’urto che ha insufflato l’aria dei polmoni nei tessuti muscolari del petto e del collo, lesione della trachea, ma quello che preoccupa è una lesione alle vertebre del collo con ematoma esteso, questa la causa della parestesia agli arti superiori.

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Mi portano in camera,
la numero 9 del reparto di Terapia Semi Intensiva. Comincio a riprendermi, sono monitorato costantemente, mi infilano un catetere alla vescica, flebo, morfina h24 e il pannolone.
È chiaro che per qualche giorno non potrò muovermi dal letto.
In un momento di lucidità riesco a parlare col mio vicino di letto, anche lui ciclista, tamponato da un’auto una decina di giorni prima è prossimo alle dimissioni.
Il giorno dopo sto un po’ meglio ma se guardo la parete davanti a me dipinta in maniera casuale con tante strisce scure su un fondo chiaro, riesco a vedere cavalli e cavalieri, strani animali che si muovono. Se piego il letto a 90° col telecomando, mi metto in posizione seduta e poi chiudo gli occhi per qualche secondo, riaprendoli mi pare di essere appoggiato con la schiena al pavimento e vedo la parete di fronte a me come se fosse il soffitto. Certo che in questo reparto spacciano roba veramente buona.

Passa qualche giorno,
va sempre meglio, ho sempre il problema alle mani ma almeno ho ripreso l’uso delle braccia. Con fatica e tanta pazienza, riesco a mangiare da solo.
Cambio compagno di stanza ogni tanto. Ecco che arriva a tarda sera un ragazzo di Camogli. Era a Caldirola per fare qualche discesa in Downhill e sbagliando un salto si è capottato riportando lesioni alla colonna vertebrale. Anche per lui un bel viaggio in elicottero, busto e collare.

Dopo qualche giorno
arriva un ragazzo sui vent’anni, con la bici ha sbattuto violentemente contro un’auto, anche per lui enfisema, trauma facciale e altro. La numero 9 dovrebbe essere rinominata come “La stanza dei ciclisti”

Il collare rigido sempre al collo, ogni tanto qualche infermiere di buon cuore, applicando tutte le procedure di sicurezza, me lo toglie, lo pulisce e disinfetta, mi rasa la barba e rinfresca il collo
Per gradi, viene eliminata la somministrazione della morfina, le dosi di cortisone in vena le stanno riducendo poco a poco, via il catetere e il pannolone e questa è una vera conquista. Con fatica riesco a sedermi su di una sedia, poi ad alzarmi in piedi, sono quasi indipendente. L’appetito non mi manca e il pasto ospedaliero è interessante ed appetibile.

Unico problema,
la notte non riesco a dormire bene ed al mattino sono sfinito.  Al reparto di Semi intensiva ci passo 17 giorni poi mi trasferiscono al Centro di riabilitazione del Borsalino.

È un altro mondo,
qui riesco a dormire, nonostante Mohammed, il mio compagno di camera ascolti una stazione araba senza cuffie fino a mezzanotte. Nei 16 giorni passati al Borsalino al mattino ed al pomeriggio, si lavora al recupero delle mani e i risultati sono eccellenti. Qualche giorno prima delle dimissioni, mi danno il permesso per rimuovere il collare un paio d’ore al giorno. Lo tolgo quando servono i pasti, in modo da essere meno impacciato mentre mangio. Alle dimissioni consigliano ancora l’uso del collare di notte per qualche giorno e poi solo per gli spostamenti in auto.

Ora che sono a casa,
le cose vanno bene. Nulla è meglio del proprio letto per riposare, ho ancora qualche problema di insensibilità ad entrambe le mani, non posso lavarmele con acqua correte fredda perché ho la sensazione che migliaia di spilli mi buchino la pelle. Durante la notte le mani si irrigidiscono perdendo quasi completamente la loro mobilità ma con un po’ di ginnastica delle dita, tornano quasi normali e riesco ad usare la tastiera del computer senza difficoltà.

Il mio viaggio continua,
questa settimana farò ancora 5 sedute terapeutiche da esterno al Borsalino, poi valuteranno il da farsi in base al mio grado di recupero.
Per salire nuovamente in bicicletta ci vorrà molto tempo e dovrò pensarci bene prima di farlo.

Il giorno dopo l’incidente,
Ornella è andata a Costigliole per recuperare la bicicletta che si è spezzata in due parti ed ora si può piegare come una Graziella. Al posto di Polizia Locale, hanno ricostruito in parte la dinamica dell’incidente, una Panda Van in manovra di retromarcia ha urtato la bicicletta facendomi sbattere violentemente viso e torace contro la parte posteriore dell’auto. Dopo l’urto sono caduto a terra rimanendo agganciato alla bici. Una delle persone accorse sul posto mi ha fatto parlare, sono riuscito a dire il mio nome ed il numero del telefono di casa.

Non ho memoria di questi fatti,
la mia mente ha cancellato tutto e difficilmente riuscirò a ricordare. Delle mie tante cadute ricordo tutto perché le ho vissute ed ho potuto vedere cosa stava succedendo, ma questa volta devo essere stato colpito all'improvviso, io l’auto proprio non l’ho vista, poi la botta ha fatto il resto cancellando anche i momenti successivi alla caduta.
Questa è la seconda volta che una Panda mi fa cadere, era già successo il 12 marzo 2016.
Allora ho potuto vedere la manovra azzardata dell’auto, capire che non mi aveva visto e non mi avrebbe dato la precedenza, cercare di evitare l’impatto piegando a sinistra e frenando. Poi l’incrocio con l’auto, ero riuscito a passarci davanti ma per soli 10 centimetri il paraurti ha colpito la mia ruota posteriore. Ricordo il volo a mezz’aria, il contatto con l’asfalto i vestiti che si strappano, il dolore, le imprecazioni, l’anziano signore che mi chiede scusa ma che proprio non mi ha visto. L’ambulanza e il passaggio al PS di Acqui Terme. Tutto, ricordo tutto perché ho potuto vedere.
Ma in quel maledetto 28 giugno, io non ho visto nulla.